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Scena4_by_PrincesseDeLamballe

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PrincesseDeLamballe's avatar
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La luce dell'abat-jour era accesa. Seduta alla petineuse, Agata pettinava una bambola di porcellana mentre canticchiava a labbra strette una canzone. Passava il piccolo pettine tra i capelli sintetici facendo attenzione a non rovinare i ricci dorati, riavvolgendo ogni tanto una ciocca intorno al dito.
La porta cigolò e Agata alzò lo sguardo. Nello specchio vide il riflesso di Izaak. Non si girò e tornò a concentrarsi sulla bambola.
«Agata…» borbottò Izaak. «Cosa ci fai in piedi? Sono le sei, non c'è neanche ancora il sole…»
Agata continuò a canticchiare, senza rispondergli. Izaak si avvicinò finché il suo riflesso non riempì lo specchio, i contorni sfumati dalla luce fioca. Posò una mano sulla spalla di Agata. Lei smise di cantare e fissò lo specchio. La mano di Izaak era più grande della sua spalla.
«Sei agitata?» domandò Izaak con un sorriso assonnato.
«No» mormorò Agata. Posò il pettine sul mobile e iniziò a sistemare il colletto e le pieghe del vestito della bambola. «Non sono una bambina preoccupata per il primo giorno di scuola, sai.»
«No, lo so.» Izaak si chinò e le diede un bacio sulla guancia. Agata si ritrasse appena, lo sguardo basso. Vedersi allo specchio insieme a Izaak era una tortura. Lui aveva i capelli lunghi, scalati, di un biondo platino naturale, e lei invece li aveva tagliati a caschetto, castano scuro, e il labbro inferiore sporgente e più pieno rispetto a quello superiore che le dava un'aria costantemente imbronciata. Le labbra sottili di Izaak al contrario erano sempre piegate in un accenno anche minimo di sorriso. Non sembravano per niente fratelli, ma quello che le faceva odiare di più quel riflesso era che fosse lei, che era più grande di lui, ad apparire una bambina. Non riusciva a sopportarlo. Fu scossa da un brivido, e d'un tratto le venne voglia di tirare un pugno al centro dello specchio.
«Se non sei preoccupata per la scuola» disse Izaak interrompendo i suoi pensieri, «allora perché sei in piedi a quest'ora? E in camera tua, soprattutto?»
Agata alzò le spalle. Scostò la mano di Izaak e si alzò, andò a posare la bambola sullo scaffale e prese quella vicina. In realtà Izaak aveva centrato il punto, e Agata fu costretta ad ammetterlo con sé stessa. Aveva iniziato a chiedersi anche lei se e quanto a lungo sarebbe riuscita a fingere di essere una bambina, sia con gli adulti che con gli altri bambini. Avrebbe per forza dovuto far finta di stringere amicizia con qualcuno e l'idea di dover trascorrere del tempo fingendo di giocare con loro la atterriva più che il dover ripetere meccanicamente le regole di base della grammatica o lo svolgere operazioni elementari. La noia sarebbe stata la padrona delle sue giornate. Mentre tirava giù la bambola questa le sfuggì ma all'ultimo riuscì ad afferrarla per il vestito. Con un mugolio di disappunto tornò alla petineuse ed esaminò il tessuto. «Dici che le ho sgualcito il vestito? Non ho sentito strappi, però…»
Izaak lanciò un'occhiata alla bambola, poi scosse il capo. Si inginocchiò accanto ad Agata e le cinse la vita con un braccio. «Non sei ancora andata via, ma già non vedo l'ora che torni a casa.»
Agata spostò lo sguardo su Izaak. Anche alla luce soffusa dell'abat-jour gli unici punti di colore sul suo viso erano le labbra sottili tese in un sorriso e gli occhi azzurri, perfino quelli contornati da ciglia bionde come i suoi capelli. «Sapessi io» mormorò.
Izaak la strinse con più decisione. «Sono certo che saprai fingere benissimo. Sai essere un'attrice formidabile.»
Agata lo fissò. Non rispose. Si chinò verso di lui e gli posò un bacio sulle labbra, poi tornò a riassettare il vestito della bambola.
Anche Izaak rimase in silenzio. Agata sentiva gli occhi di Izaak puntati su di lei, e se da un lato la cosa le faceva piacere dall'altro la seccava. Sembrava che Izaak stesse aspettando qualcosa.
Aprì il piccolo orologio da tasca posato sulla mobile. Le sei e mezza. Storse il naso e posò la bambola, dicendosi che l'avrebbe messa a posto dopo. Aprì il cassetto della petineuse ed estrasse un contenitore rettangolare di plastica. Lo aprì con uno schiocco e ne estrasse un apparecchio con dei denti finti. Se lo infilò in bocca, la chiuse, e dopo aver fatto qualche smorfia con le labbra la riaprì e allo specchio comparve un sorriso infantile. Spostò lo sguardo su confezioni, flaconi e piccole scatole che ingombravano il piano della petineuse. Prese un correttore, lo usò su un paio di punti rossi e lo passò anche sotto gli occhi per eliminare le occhiaie, poi prese un flacone, tolse il tappo e si mise sulle dita qualche goccia di fondotinta liquido. Lo stese su tutto il viso, poi con un pennello si passò della cipria. Quando prese due botticini sottili, uno bianco e uno rosa, si voltò verso Izaak e domandò: «Secondo te il burro di cacao rosa lascia un colore troppo intenso?»
Izaak alzò le spalle. «Provalo. Al massimo portatelo a scuola, non è strano che una bambina usi un burro di cacao.»
Agata fissò i due botticini. «Hai ragione» disse infine. Posò quello bianco e tenne quello rosa. Lo aprì, girò il meccanismo per far uscire il burro di cacao e si sporse verso lo specchio. Si fissò mentre passava lentamente il burro di cacao, le labbra morbide e non contratte che si piegavano e prendevano un leggero colore rosato. Se lo ripassò più volte, solo per il piacere di guardare le proprie labbra deformarsi, immaginando che effetto le avrebbe fatto se fosse stato rossetto.
«Basta, Agata» fece d'un tratto Izaak. Le prese il polso con delicatezza e le sfilò dalle dita il burro di cacao. Agata alzò il capo e lo fissò. Izaak chiuse il botticino e lo appoggiò accanto a quello bianco.
«Finisco di prepararmi» mormorò Agata, e si alzò. Tirò fuori dal cassetto delle calze grigie, e dall'armadio una maglia grigia e un abito bianco con un grande fiocco blu sul davanti. Si sedette sul letto e si tolse la maglia. Vide che la fascia si stava sciogliendo, così la sciolse del tutto e iniziò a riavvolgerla.
«Mi aiuti, Izaak? Altrimenti non riesco a stringerla abbastanza.»
Izaak si avvicinò, e mentre Agata teneva un capo della fascia lui gliela riavvolgeva attorno al petto.
«Più stretta» disse Agata. Prese il capo di Izaak, trattenne il fiato e lo tirò di più. Izaak proseguì tenendo la fascia più tirata. Quando ebbe finito Agata fermò la fasciatura con un gancio e prese gli abiti per iniziare a vestirsi. Izaak rimase in silenzio ad osservarla, seduto sul letto, fino a quando Agata non ebbe finito e tornò alla petineuse, dove prese dal cassetto una spazzola.
«Più che una bambina sembri una bambola. Penseranno tutti che sei strana se ti conci sempre così.»
Agata fermò con un nodo il piccolo fiocco che aveva legato fra i suoi capelli. Si tolse di bocca il secondo nastro e iniziò a legarlo dall'altro lato del capo. «Ma almeno nessuno penserà che non sono realmente una bambina. Vestita così lo sembro.»
Izaak alzò gli occhi al cielo. «Hai dei gusti antiquati. Bambini vestiti così li vedi solo nelle foto dell'Ottocento.»
«Ha parlato il guru della moda, ovunque vai sei sempre vestito in camicia…»
«Perché, sto male per caso?»
«No.»
Izaak sorrise. Si alzò e diede un bacio sulla testa di Agata. «Vado a preparare la colazione.»
Un paio d'ore dopo, davanti al cancello della scuola, Agata e Izaak aspettavano di entrare. I bambini schiamazzavano intorno alle loro mamme, emozionati dalla prospettiva del primo giorno di scuola. Una bambina poco distante giocava col fratellino più piccolo, seduto nel seggiolino della bicicletta della madre.
«Mi accompagni fin dentro, vero? Con la scusa che devi parlare con i maestri… Non voglio finire stritolata da una mandria di marmocchi.»
«Farò né più né meno come fanno gli altri» replicò Izaak. «Tra l'altro con i maestri ho già parlato, quindi se ti chiedono qualcosa riguardo alla nostra situazione rispondi pure come abbiamo concordato.»
Agata sporse in fuori le labbra, mettendo il broncio.
La campanella suonò, una bidella vestita di blu venne ad aprire il cancello e i bambini entrarono nel cortile asfaltato della scuola. Agata guardò l'orda di bambini accalcarsi davanti al portone di legno. Sollevò lo sguardo disperato verso Izaak, poi tornò a guardare i bambini.
«È orribile.»
«Su, su, coraggio» disse Izaak dandole un colpetto sulla spalla.
«Già, non ci devi entrare tu…» Agata si sollevò in punta di piedi, e Izaak capì. Si chinò e si lasciò dare un bacio sulla guancia.
«Buona giornata, Agata.»
Agata strinse le bretelle della cartella, tirò un sospiro e si avviò verso l'entrata.
Per entrare dovette mischiarsi agli altri bambini e presto finì in mezzo a loro. Vide che nell'ingresso un gruppetto di quelli che sembravano maestri e maestre chiedevano la classe e il nome, dopodichè li dividevano per sezione. Agata non voleva trovarsi sola con un gruppo di bambini, ma non voleva neanche restare lì in mezzo alla ressa, schiacciata da tutte le parti. Dopo un lasso di tempo che le parve interminabile arrivò il suo turno. Un uomo giovane le posò la mano sulla spalla e la tirò fuori dal gruppo.
«Avanti, avanti, veloce… Classe? Nome?»
«Quarta. Dalmasso Agata.»
L'uomo la scrutò, come se volesse inquadrarla. Agata fece uno sforzo terribile per costringersi a non sollevare le sopracciglia in un'espressione infastidita. «Bene. Sezione B. Quel gruppo… Vai, Agata.» Le indicò un gruppetto vicino al muro, e Agata andò. Vide l'uomo sporgersi verso una donna e dirle qualcosa. La donna guardò Agata e annuì. Agata si chiese se quel comportamento fosse dovuto alla situazione familiare per come l'aveva presentata Izaak.
Appena si aggregò al gruppetto un bambino con il codino e le lentiggini le finì addosso.
«Ehi!»
«Scusa, mi ha spinto lui» disse indicando un bambino coi capelli rossi. Tornò dal bambino rosso e lo spinse anche lui.
Agata alzò gli occhi al cielo.
Intanto due bambine che si tenevano a braccetto chiacchieravano tra loro, e quando Agata si voltò le sorrisero. Una guardò ancora Agata e le si avvicinò, trascinando l'altra con sé.
«Piacere, io sono Cecilia. Tu come ti chiami?»
«Agata.»
«Oh» fece Cecilia, piuttosto sorpresa. «Credevo avessi un nome più strano.»
Agata rimase di sasso e non rispose subito. Nel frattempo l'altra bambina disse con aria imbarazzata: «Visto, Ceci? Avevo ragione io! È italiana come noi.»
«Perché, non sembro italiana?» chiese Agata presa alla sprovvista.
«Il tuo papà parla con un accento tremendo, pensavo che tu non parlassi neanche italiano. Invece non hai neppure accento» disse Cecilia.
Agata si irrigidì. «Il mio papà?» chiese. «Intendi Izaak?»
«Quello biondo che era con te oggi… Non è tuo papà?»
La rabbia ribollì dentro Agata, ma si sforzò di controllarsi. Se l'avevano scambiato per suo padre significava che almeno sembrava una bambina… A bassa voce disse: «Izaak non è mio padre, è mio fratello. Io non ho un padre.»
«Come non hai un padre?» fece l'altra bambina, stupita. Lo sguardo di Agata saettò su di lei e questa sussultò, spaventata.
«Izaak non è italiano, è polacco. È stato adottato prima che io nascessi perché mia mamma credeva di non poter avere figli. Poi invece sono nata io. I miei genitori sono morti quando ero piccola, e Izaak è rimasto ad occuparsi di me.»
«Oh» fece Cecilia, e l'altra bambina annuì e aggiunse con un sorriso: «Sembra la storia di un libro.»
Gli occhi di Agata si ridussero a due fessure.
Written in Italian.

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Questo lavoro è sotto licenza CreativeCommons.
Comments14
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PIRATEMG's avatar
non vorrei essere nei panni di agata, davvero!!!!!!!!!! questo sta anche a significare che, come ti ho già detto, scrivi benissimo, insomma, riesci a passare molte emozioni, davvero!!!!!!!!!!!!!!