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Scena 9 by PrincesseDeLamballe

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Il profumo di dolce appena sfornato riempiva l'atrio. Agata strinse le labbra per trattenere un sorriso. Si fermò ai piedi della scala e sbadigliò, poi si riempì i polmoni del profumo dolce e si stiracchiò. Entrò in cucina. Izaak era già vestito con camicia e maglioncino, e sopra indossava il grembiule bianco e rosa merlettato.
«Come mai il grembiule della mamma?»
Izaak si girò di scatto. «Oh! Ciao, non ti avevo sentito.» Le sorrise, e lei ricambiò. La tavola era già apparecchiata, ma oltre alla solita tazza di caffelatte c'erano anche due piattini, un vasetto di crema al cioccolato e uno di marmellata.
«Volevo farti una sorpresa e svegliarti quando era tutto pronto, ma sei arrivata prima tu.» Izaak posò sul tavolo un piatto con una torre di pancakes. Scostò la sedia e si sedette accanto ad Agata. «E ho trovato solo questo grembiule, dovremmo prenderne uno nuovo.»
Agata aveva l'acquolina in bocca. Trascinò un pancake nel suo piattino, prese il coltello e iniziò a spalmarci sopra il cioccolato. «Ti amo, lo sai, vero?»
«Lo sospettavo.» Izaak le sorrise ancora e aprì con uno schiocco il vasetto di marmellata.
«A che ora vai via oggi?»
«Alle due. Prepari tu pranzo?»
«Va bene.» Agata tagliò un pezzo di pancake e lo mise in bocca. La pasta calda le si sciolse sulla lingua e il sapore del cioccolato le riempì la bocca. Era un boccone di paradiso. Con la coda nell'occhio vide Izaak fissarla. Ora però le sue labbra chiuse e senza un sorriso. Come mai? Agata sollevò le sopracciglia con aria interrogativa.
«Cos'hai fatto alle unghie?» chiese Izaak. Agata non riuscì a capire dalla voce se fosse arrabbiato o meno. Stese la mano di fronte a sé e allargò le dita. «Niente, perché?»
«Sono rosa.»
«Rosa perlato» lo corresse. Chiuse le dita e le riaprì, ammirando la sfumatura perlacea. Limarle e laccarle a dovere era stato un lavoro di precisione estremamente impegnativo, ma il risultato era eccellente. Izaak però scosse la testa. «Ti sembra una cosa adatta a una bambina?»
Agata alzò gli occhi al cielo e sbuffò. «Oh, che palle che sei! Anche Cecilia lo fa, e lei è una bambina vera. Sono venute bene, vero?» Non riuscì a trattenere un sorriso e tagliò un'altra fetta di pancake. Lo smalto riluceva quanto la lama del coltello. Anzi di più, il coltello era sporco di cioccolato. «Un centimetro e mezzo di rosa perlato.»
Izaak si coprì gli occhi con una mano e scosse il capo. «Le hai perfino misurate?»
«Ovvio.» Agata sorrise e si guardò di nuovo le unghie perlate. Mosse le dita per vedere gli effetti di luce sullo smalto. Izaak scostò la mano dal viso e inarcò le sopracciglia.
«Va bene, va bene, la smetto.» Agata mangiò un altro boccone. Non voleva far innervosire Izaak. Meglio cambiare argomento. «A che ora vai in libreria?»
«Me lo hai già chiesto. Alle due.»
«Daniele non dovrebbe farti lavorare anche di sabato. Potresti rimanere a casa con me, no?»
«Sai com'è, se non lavoro non mangiamo.»
Ecco, adesso Izaak era di cattivo umore. Agata finì il pancakes in silenzio, col sottofondo delle posate che tintinnavano. Una bella mattina in famiglia rovinata da un'inezia. Ma perché Izaak si preoccupava di quelle sciocchezze? Toccò l'unghia del pollice con un polpastrello e si morse un labbro. Prese un altro pancake.
«Ho sentito che ieri un bambino della tua classe si è fatto male.»
La stretta allo stomaco fece pensare ad Agata che non sarebbe riuscita a finire il pancake. Di sicuro si riferiva ad Alex. Le tornò in mente il viso del bambino rigato di sangue e di pioggia. Se Izaak avesse scoperto che era stata lei si sarebbe di certo arrabbiato. Forse era meglio far finta di niente. Immerse il coltello nel barattolo di cioccolato. «Ah, sì? Non lo sapevo.»
«Ne parlavano ieri alcune mamme, fuori da scuola.»
Strano, pensò Agata, il bambino l'avevano trovato poco prima della fine delle lezioni. Dall'aula non avevano neppure sentito arrivare l'ambulanza. Tagliò un pezzo di pancake e lo mise in bocca. «Già lo sapevano? Che branco di pettegole.»
Lo sguardo di Izaak scattò fulmineo verso Agata. Lei smise di masticare e sbatté le palpebre. Perché la guardava così?
«E se tu non lo sapevi, come fai a dire che già lo sapevano? Perché sai quand'è successo, forse?»
Agata deglutì e il boccone le scese in gola come se fosse stato un sasso. La bocca le si fece improvvisamente secca e bevve un sorso di caffelatte. Izaak continuò a fissarla. Ad Agata sembrava che il cuore le fosse saltato il gola e fosse rimasto lì bloccato. «No. Come faccio a saperlo? Non ho fatto niente.»
«E allora perché il maestro mi ha mandato a chiamare?»
Al diavolo.
«E magari il fatto che si tratti del bambino che ti aveva buttata in piscina è un caso, vero?»
Agata strinse con forza le posate finché non sentì le unghie affondare nei palmi della mano. «Perché, non può esserlo?»
Izaak saltò in piedi e sbatté le mani sul tavolo. Agata sussultò. Le sue sopracciglia bionde erano corrugate in un'espressione rabbiosa e le labbra sottili erano talmente strette da sembrare scomparse.
Poi Izaak chiuse i pugni e tirò un respiro. «Agata» disse con voce pacata, anche se le labbra gli tremarono. «Te l'ho già detto tante volte. Con me le tue bugie non funzionano. Dimmi cos'è successo. Adesso. Prima che mi arrabbi seriamente.»
Perché, diavolo, riusciva a farla sentire così dannatamente in colpa? Agata fissò il pancake pieno di cioccolato. Perché una normale mattinata in famiglia doveva essere rovinata così? Cos'aveva fatto di male nella vita per meritarselo? Il nodo alla gola le bloccò il respiro e cercò di concentrarsi sul pancake per ignorare il bruciore agli occhi.
«Cosa è successo a scuola?» scandì Izaak.
Il trillo del campanello fece sobbalzare Agata. Si girò verso la porta della cucina, poi verso Izaak. Il ragazzo aveva lo sguardo fisso verso l'ingresso, gli occhi spalancati. Finalmente si raddrizzò. «Vado io ad aprire. È meglio se vai di sopra a cambiarti.»
«Sì.» La sedia grattò contro il pavimento. Agata fece gli scalini a due a due più veloce che poté. Il cuore era ancora bloccato in gola dall'ansia. Non era mai venuto nessuno a trovarli, era meglio evitare di avere ospiti se volevano nascondere il suo segreto. Chi poteva volere qualcosa da loro, e chi poteva sapere dove abitavano? Quando salì l'ultimo gradino Agata aveva una risposta. Strinse con forza il corrimano e si voltò. Izaak era in piedi davanti alla porta ancora chiusa. Si girò verso di lei e con la mano le fece cenno di andare. Agata strinse i denti, lasciò il corrimano e fece per avviarsi lungo il corridoio. Però appena fu dietro la parete si fermò e tese le orecchie. Schiacciò la schiena contro il muro freddo, e le unghie graffiarono la carta da parati.
Sì, c'era qualcuno che sapeva dove abitavano. E che poteva volere qualcosa da loro. O meglio, da Izaak.
La poliziotta.
Trattenne il respiro. Sentiva la voce di Izaak, ma non capiva cosa stesse dicendo. Poi sentì un'altra voce, una voce femminile che non riconobbe. Era la poliziotta? Non poteva giurarci, l'aveva sentita parlare solo un paio di volte. Doveva vederla per esserne certa.
Deglutì. Sollevò un piede da terra e lo posò poco più in là. Fece strisciare la schiena alla parete. Non dovevano vederla, né la donna né Izaak. Se fosse stata la poliziotta, pensò, le avrebbe organizzato una calorosa accoglienza.
Sporse la testa oltre la parete e soffocò un'esclamazione di sorpresa.
Nell'ingresso c'era Cecilia, i capelli neri raccolti in una coda di cavallo, insieme a una donna dalle labbra rosso fuoco che Agata non riconobbe. La donna teneva Cecilia per mano, quindi probabilmente era sua madre. Ma che ci facevano a casa sua? Cecilia alzò gli occhi e incrociò il suo sguardo. Per un istante Agata si sentì gelare e le si mozzò il fiato. Tirò indietro la testa e si portò una mano al petto. Il cuore le batteva all'impazzata. L'aveva vista? Cecilia l'aveva vista davvero? Tirò un paio di lunghi respiri.
Se non altro non era la poliziotta. Di questo era sicura. Non aveva idea del perché Cecilia fosse venuta a casa sua, ma meglio lei dell'altra. Comunque era meglio andare in camera a cambiarsi, altrimenti si sarebbero chiesti perché non arrivava. In punta di piedi attraversò il corridoio, entrò nella propria stanza e accostò la porta. Il vestito e i leggins erano sulla sedia davanti alla petineuse, dove li aveva lasciati la sera prima. Tutto normale. Si portò ancora una mano al petto. Il cuore sembrava aver rallentato il battito. Sospirò e si sedette sul letto per sfilarsi i pantaloni del pigiama.
Cecilia l'aveva vista, ne era certa. E allora? L'aveva vista solo in faccia, non in pigiama. Anzi, anche se le si fosse parata davanti non avrebbe mai potuto sospettare che era non era una bambina, il pigiama era largo abbastanza da coprire qualsiasi forma. Prese i leggins dalla sedia e li infilò. Lanciò un'occhiata alla finestra. Al di là del vetro c'era la strada vuota, e al primo piano era improbabile che qualcuno la vedesse. In ogni caso era meglio essere prudenti. Tirò le tende a fiori, si tolse la maglia del pigiama e la gettò sul letto. Tastò la fascia alla ricerca del gancio, e le sembrò fissato bene. Era una fortuna che la sera prima non l'avesse tolta, altrimenti rimetterla da sola sarebbe stato faticoso. Prese il vestito da sopra la sedia, fece passare le braccia nelle maniche strette e infilò la testa nel colletto. Bene, adesso doveva solo mettere l'apparecchio. E truccarsi. Le conveniva far veloce. Si sedette alla petineuse e solo in quel momento, riflessa nello specchio, vide Cecilia sulla soglia. Agata saltò in piedi.
Cecilia sussultò. «Agata?» fece, titubante. Accennò un sorriso. «Ciao… Sono venuta a trovarti. Vieni giù?» Si guardò intorno e il suo sguardo si posò sullo scaffale. «Quante bambole che hai!»
No, impossibile. Da quanto tempo era lì? Aveva visto la fascia? La vista le si oscurò e le ginocchia cedettero. Si aggrappò alla petineuse per non cadere e sbatté le palpebre finché non riuscì a rimettere a fuoco la bambina. Aprì la bocca per parlare, ma si ricordò di non avere l'apparecchio. Si coprì la bocca con una mano.
«Cosa c'è, non stai bene?» Tra gli occhi di Cecilia si formò una ruga preoccupata e la bambina fece qualche passo verso di lei. «Ti viene da vomitare?»
Agata strinse con forza il bordo della petineuse. Scosse il capo. Si accorse di respirare velocemente, cercò di rallentare ma si sentiva come se le mancasse l'aria. Perché Cecilia era venuta a cercarla? Poi ci fu un movimento alle spalle di Cecilia.
Sulla soglia comparve Izaak.
«Oh, Cecilia, sei qui.» Le labbra di Izaak si aprirono in un sorriso che scoprì i denti bianchi. «Hai sorpreso Agata mentre si cambiava, eh?»
«Ma no, ha finito!» protestò la bambina. Si girò verso Agata. «Giochiamo qua o vieni giù?»
«Dai, scendete giù di sotto, così stiamo tutti insieme.» Izaak posò una mano sulla spalla di Cecilia. «Perché non raggiungi un secondo la mamma? Io aiuto Agata a sistemarsi i capelli.»
«Ti fai ancora sistemare i capelli?» Cecilia scoppiò a ridere. «Io la coda me la sono fatta da sola!»
«Agata invece è imbranata, è meglio se la aiuto io.» Izaak sorrise ancora e, sempre con la mano sulla spalla della bambina, la condusse sulla soglia della camera. «Dai, vai, torniamo subito.»
Cecilia sorrise e annuì. «Sbrigatevi!» esclamò, e uscì. Qualche secondo dopo giunse il rumore dei suoi passi giù per le scale.
Izaak lanciò un'occhiata in corridoio, poi chiuse la porta e in un balzo raggiunse Agata. Era ancora aggrappata alla petineuse e solo quando si sentì circondare le spalle dalle braccia di Izaak la lasciò. Scostò la mano da davanti alla bocca e strinse con forza la camicia del ragazzo. «Mi ha vista» mormorò. «Mi ha vista! Mi ha vista mentre mi cambiavo!»
Izaak la liberò dall'abbraccio e Agata si sentì afferrare per le spalle. «Ne sei sicura?»
«Sì, sicurissima!» Agata annuì con energia e si aggrappò con più forza a Izaak. Guardò la porta, temendo di vederla aprirsi. «Nello specchio… Era lì, sulla soglia! Non può… Mi ha vista… Dobbiamo… Dobbiamo…»
«Agata, calmati.»
«No! Subito, Izaak, finché è giù di sotto…»
«Ti ho detto di calmarti.» Izaak le bloccò il viso con le mani calde e piantò gli occhi azzurri in quelli di lei. Costretta a rimanere ferma, Agata si accorse di essere ancora in iperventilazione. Cercò di inspirare e di trattenere per qualche secondo il fiato. La prima volta non ci riuscì, la seconda lo trattenne un po' di più.
«Brava. Stai tranquilla. Non è successo niente» disse Izaak. «Ha detto qualcosa sulla fasciatura?»
Aveva detto qualcosa? «No…»
«Allora non l'ha vista. Mi sembra una bambina spontanea, ti avrebbe di sicuro chiesto qualcosa.»
«Ma i denti n-»
«Ha fatto più caso a te che ti coprivi la bocca che ai tuoi denti. Non ti agitare. Non essere impulsiva. Calma.»
La stretta sulla camicia si allentò. Le mani di Izaak scivolarono via dalla testa di Agata e le labbra del ragazzo si curvarono in un accenno di sorriso. Si sporse verso di lei e con le labbra le sfiorò la fronte.
«Se non vuoi scendere invento una scusa.»
«No, vengo.» Agata si sorprese di come la risposta le fosse uscita pronta. In realtà non ne aveva per niente voglia. Però non era neanche giusto scaricare tutte le seccature a Izaak, quel pomeriggio doveva anche andare a lavorare. Lasciò andare la camicia. «Finisco di sistemarmi e arrivo.» Represse un sospiro e si sedette alla petineuse. Aprì il cassetto e iniziò a cercare il contenitore dell'apparecchio.
«Dobbiamo comunque parlare del tuo comportamento a scuola. Non l'ho dimenticato.»
Agata afferrò il contenitore, lo aprì con uno schiocco e alzò gli occhi. Dallo specchio Izaak le restituiva uno sguardo serio, senza più un sorriso.
«Va bene.» Tornò a guardare l'apparecchio. Lo prese con due dita. Era freddo. Arricciò il naso al pensiero di rimetterlo in bocca. Lanciò un'altra occhiata allo specchio. Izaak era ancora lì a fissarla. Perché rimaneva lì, caspita? Agata si morse il labbro inferiore per impedirsi di mandarlo via a male parole. Prese un respiro e disse, più rilassata possibile: «Toglimi una curiosità: la vecchia e la marmocchia ti hanno detto perché sono piombate in casa nostra in questa maniera?»
Izaak alzò le sopracciglia. «La signora ha detto che Cecilia parla molto di te, e ti vorrebbe invitare al suo compleanno.» Si passò una mano tra i capelli e alzò gli occhi al cielo. «In altre parole ci pensa due volte prima di invitare a casa sua una bambina che non ha dei genitori a controllarla.»
«In effetti non ci siamo mai incontrare, io e sua madre. Potrei essere una teppista.» Ad Agata venne da ridere e strinse le labbra per non farlo notare a Izaak. «O una pazza assassina, per quanto ne sa lei.»
Izaak non rise. «Non scherzarci troppo.» Si voltò e uscì.
Written in Italian.

Qualsiasi commento è il benvenuto! Anche le critiche, soprattutto se motivate, saranno ben accette.

Questo lavoro è sotto licenza CreativeCommons.
Comments29
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syunikiss90's avatar
Ero rimasta indietro di qualche scena (complici la mia tendenza a poltrire e certi esami), ed ora me le sono potute leggere con calma.
La prima parte mi ha strappato un sorriso: tutta la parte ambientata nella cucina mi ha trasmesso tanta tenerezza (per quanto non si parlasse propriamente di quanto fosse bello il tempo quella mattina X°D). E poi Izaak subdolo che cerca di prendere per la gola Agatha per estorcerle informazioni e confessioni! X°D Ad averne di fratelli del genere (sarei veramente obesa X°D)
E si, concordo anch'io su quanto detto riguardo la seconda parte: credo che sia una delle parti che hai scritto meglio fin'ora e in cui hai reso meglio la situazione. *w*